Il 7 febbraio 1992
venne firmato a Maastricht dai dodici Paesi membri dell’allora Comunità Europea
(nel 1986 aderironno la Spagna ed il Portogallo) il Trattato sull'Unione
Europea. L’accordo entrò in vigore il 1 novembre 1993. Il Trattato di Maastricht,
istituendo l’Unione Europea, fece della Comunità un organismo politico di
diritto internazionale. Articolò convenzionalmente le politiche comunitarie in
tre aree definite
‘pilastri’: il primo pilastro riguardava il mercato comune
europeo, l’unione economica e monetaria, una serie di altre competenze aggiunte
nel tempo, oltre alla politica del carbone e dell’acciaio e quella atomica. Il
secondo concerneva la politica estera e di sicurezza comune (PESC). Il terzo
riguardava la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale (GAI), e intendeva
costruire uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia in cui si doveva
radicare una collaborazione comune contro la criminalità transnazionale. I
pilastri sono stati aboliti con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel
2009. Con il Trattato di Maastricht vennero ampliate diverse competenze
comunitarie, come la politica di coesione economica e sociale che si arricchiva
di un fondo ad hoc per finanziare
progetti di sviluppo economico nelle regioni più arretrate; nel campo della
legislazione sociale venne adottata la regola della maggioranza qualificata nel
processo decisionale, come anche nelle materie della ricerca, dello sviluppo e dell’ambiente. Vennero
riconosciute come questioni oggetto di politiche comunitarie anche la
protezione dei consumatori e lo sviluppo delle reti di trasporto e
comunicazione transeuropee. Particolare valore ebbe l’introduzione del principio
di sussidiarietà. Il principio precisa che, nei settori che non sono di sua
esclusiva competenza, l'Unione interviene solo laddove l'azione dei singoli
Stati non sia sufficiente al raggiungimento dell'obiettivo. Come corollario
della sussidiarietà una questione può considerarsi di interesse comunitario
quando riguarda almeno due Stati; la condivisione di un interesse in genere
richiede infatti una coordinazione superiore. Il secondo e il terzo pilastro, considerata
la delicatezza e le peculiarità delle materie comprese in questi ambiti,
vennero sottratti agli ordinari meccanismi decisionali comunitari – che invece
trovarono piena applicazione nel primo Pilastro - che, accentuando il carattere sovranazionale
dell’Unione Europea, consentivano di adottare atti vincolanti solo in base al
principio di maggioranza. Per l’adozione delle decisioni nelle materie del
secondo e terzo pilastro, fra le quali erano comprese le iniziative per
rafforzare la cooperazione di polizia e giudiziaria, venne pertanto mantenuto
lo strumento intergovernativo: le decisioni potevano essere assunte solo con
voto unanime previe consultazioni dirette tra i governi, rappresentati dai Ministri
o a livello più lto dai Primi Ministri e/o dai Capi di Stato; le decisioni in
questo ambito inoltre generalmente non
erano vincolanti In queste materie infatti gli ordinamenti giuridici dei Paesi
membri hanno valutazioni e strategie specifiche talvolta inconciliabili fra loro;
conseguentemente un’uniformità imposta attraverso il criterio maggioritario
(tipico del metodo comunitario) non sembrava prospettabile, mentre era
sicuramente più adeguato il metodo decisionale intergovernativo basato
sull’unanimità. Il successivo Trattato di Amsterdam venne firmato il 2 ottobre
1997 dai Paesi dell'Unione Europea (divenuti nel frattempo 15 con l’adesione di
Austria Finlandia e Svezia) ed entrò in vigore il 1º maggio 1999. Aveva come
obiettivo principale quello di trasformare l’Unione Europea in uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, in cui fosse assicurata la libera circolazione
delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerneva i controlli
alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità
e la lotta contro quest’ultima. L’articolo 29 del
Trattato dispose che
l’obiettivo che l’Unione si prefiggeva era “fornire ai cittadini un livello
elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia,
sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della
cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, e prevenendo e
reprimendo il razzismo e la xenofobia”. Nella normativa applicativa venne
specificato che la cooperazione di polizia si doveva rafforzare non solo
attraverso un mirato scambio di informazioni e iniziative congiunte nei settori della
formazione e della ricerca in campo criminologico, ma soprattutto attribuendo a
Europol la funzione di principale strumento per la collaborazione operativa fra
gli Stati membri. La cooperazione giudiziaria in materia penale venne invece sviluppata
promuovendo contatti transnazionali fra le autorità giudiziarie con iniziative
relative a facilitare le procedure di estradizione e con proposte normative
finalizzate a rendere più omogenei i sistemi giuridici nazionali soprattutto
con riferimento agli elementi costitutivi dei reati e ai presupposti per
l’erogazione di sanzioni. Un’altra importante innovazione introdotta con il
Trattato di Amsterdam nel settore della Giustizia e degli Affari Interni fu
l’incorporazione, nel sistema giuridico comunitario, delle disposizioni della
Convenzione di Schengen, che divennero così il fondamento su cui articolare la creazione
di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il Trattato di Lisbona
(concluso nel 2007, ma in vigore dal 2009) ha riformato i metodi decisionali,
cercando di introdurre procedure uniformi ove possibile. Il Trattato di
Lisbona, contiene disposizioni in materia di protezione civile che dovrebbero
contribuire a potenziare la capacità dell’Unione di far fronte alle minacce per
la sicurezza dei cittadini. ROBERTO RAPACCINI

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