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Osservatorio Settimanale

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WEBMASTER: Roberto RAPACCINI

31 dic 2012

3. BREVI CENNI STORICI – 2. Dal Trattato di Maastricht a quello di Lisbona



Il 7 febbraio 1992 venne firmato a Maastricht dai dodici Paesi membri dell’allora Comunità Europea (nel 1986 aderironno la Spagna ed il Portogallo) il Trattato sull'Unione Europea. L’accordo entrò in vigore il 1 novembre 1993. Il Trattato di Maastricht, istituendo l’Unione Europea, fece della Comunità un organismo politico di diritto internazionale. Articolò convenzionalmente le politiche comunitarie in tre aree definite ‘pilastri’: il primo pilastro riguardava il mercato comune europeo, l’unione economica e monetaria, una serie di altre competenze aggiunte nel tempo, oltre alla politica del carbone e dell’acciaio e quella atomica. Il secondo concerneva la politica estera e di sicurezza comune (PESC). Il terzo riguardava la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale (GAI), e intendeva costruire uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia in cui si doveva radicare una collaborazione comune contro la criminalità transnazionale. I pilastri sono stati aboliti con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009. Con il Trattato di Maastricht vennero ampliate diverse competenze comunitarie, come la politica di coesione economica e sociale che si arricchiva di un fondo ad hoc per finanziare progetti di sviluppo economico nelle regioni più arretrate; nel campo della legislazione sociale venne adottata la regola della maggioranza qualificata nel processo decisionale, come anche nelle materie della  ricerca, dello sviluppo e dell’ambiente. Vennero riconosciute come questioni oggetto di politiche comunitarie anche la protezione dei consumatori e lo sviluppo delle reti di trasporto e comunicazione transeuropee. Particolare valore ebbe l’introduzione del principio di sussidiarietà. Il principio precisa che, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, l'Unione interviene solo laddove l'azione dei singoli Stati non sia sufficiente al raggiungimento dell'obiettivo. Come corollario della sussidiarietà una questione può considerarsi di interesse comunitario quando riguarda almeno due Stati; la condivisione di un interesse in genere richiede infatti una coordinazione superiore. Il secondo e il terzo pilastro, considerata la delicatezza e le peculiarità delle materie comprese in questi ambiti, vennero sottratti agli ordinari meccanismi decisionali comunitari – che invece trovarono piena applicazione nel primo Pilastro -  che, accentuando il carattere sovranazionale dell’Unione Europea, consentivano di adottare atti vincolanti solo in base al principio di maggioranza. Per l’adozione delle decisioni nelle materie del secondo e terzo pilastro, fra le quali erano comprese le iniziative per rafforzare la cooperazione di polizia e giudiziaria, venne pertanto mantenuto lo strumento intergovernativo: le decisioni potevano essere assunte solo con voto unanime previe consultazioni dirette tra i governi, rappresentati dai Ministri o a livello più lto dai Primi Ministri e/o dai Capi di Stato; le decisioni in questo ambito  inoltre generalmente non erano vincolanti In queste materie infatti gli ordinamenti giuridici dei Paesi membri hanno valutazioni e strategie specifiche talvolta inconciliabili fra loro; conseguentemente un’uniformità imposta attraverso il criterio maggioritario (tipico del metodo comunitario) non sembrava prospettabile, mentre era sicuramente più adeguato il metodo decisionale intergovernativo basato sull’unanimità. Il successivo Trattato di Amsterdam venne firmato il 2 ottobre 1997 dai Paesi dell'Unione Europea  (divenuti nel frattempo 15 con l’adesione di Austria Finlandia e Svezia) ed entrò in vigore il 1º maggio 1999. Aveva come obiettivo principale quello di trasformare l’Unione Europea in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui fosse assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerneva i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima. L’articolo 29 del Trattato dispose che l’obiettivo che l’Unione si prefiggeva era “fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia”. Nella normativa applicativa venne specificato che la cooperazione di polizia si doveva rafforzare non solo attraverso un mirato scambio di informazioni e  iniziative congiunte nei settori della formazione e della ricerca in campo criminologico, ma soprattutto attribuendo a Europol la funzione di principale strumento per la collaborazione operativa fra gli Stati membri. La cooperazione giudiziaria in materia penale venne invece sviluppata promuovendo contatti transnazionali fra le autorità giudiziarie con iniziative relative a facilitare le procedure di estradizione e con proposte normative finalizzate a rendere più omogenei i sistemi giuridici nazionali soprattutto con riferimento agli elementi costitutivi dei reati e ai presupposti per l’erogazione di sanzioni. Un’altra importante innovazione introdotta con il Trattato di Amsterdam nel settore della Giustizia e degli Affari Interni fu l’incorporazione, nel sistema giuridico comunitario, delle disposizioni della Convenzione di Schengen, che divennero così il fondamento su cui articolare la creazione di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il Trattato di Lisbona (concluso nel 2007, ma in vigore dal 2009) ha riformato i metodi decisionali, cercando di introdurre procedure uniformi ove possibile. Il Trattato di Lisbona, contiene disposizioni in materia di protezione civile che dovrebbero contribuire a potenziare la capacità dell’Unione di far fronte alle minacce per la sicurezza dei cittadini. ROBERTO RAPACCINI
 
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